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Seguo il filo

 

Quando ho letto per la prima volta “Seguo il filo” (أتبعُ الخيط) mi è venuto in mente il testo della canzone del cantante libanese Marcel Khalifah “Cammino a testa alta” (منتصب القامة أمشي) con le parole del poeta palestinese Samih Al Qasem, una canzone divenuta ben presto l’inno dei profughi palestinesi.

 

Per questo non mi sono sorpresa quando ho scoperto che l’autrice di “Seguo il filo” è la palestinese Ala’ Kraman, attualmente impegnata a portare avanti un dottorato di ricerca per la Facoltà di Cultura e Comunicazione dell’Università di Roehampton a Londra. Il suo testo è un piccolo gioiello narrativo, essenziale nelle parole e potente nelle immagini affidate all’illustratrice siriana Haya Halaw e pubblicato da Tamer Institute for Community Education

 

In Italia “Seguo il filo” è un testo bilingue tradotto da Alessandra Amorello per Bibliolibrò Edizioni e anche nella versione italiana si presenta come testo poetico, sospeso tra la semplicità del linguaggio e la profondità di temi universali: l’appartenenza, il distacco, la ricerca di un rifugio e la costruzione di una nuova casa.

 

Infatti, a una seconda attenta lettura, non ho potuto fare a meno di notare che le parole dell’autrice mi rimandavano alle indicazioni di una delle prime pedagogiste italiane che si è occupata delle migrazioni dei minori, Graziella Favaro.  Nel suo “Bambine e bambini di qui e altrove. La migrazione dei minori e delle famiglie” Favaro offre uno sguardo approfondito sulle condizioni dei bambini e delle bambine immigrati, mettendo in luce il disorientamento iniziale: lo sradicamento dagli affetti, il distacco linguistico e culturale, la perdita di riferimenti certi, la ricerca di un posto sicuro. Per questo motivo sarebbe riduttivo pensare che “Seguo il filo” è un testo che parla solo dei bambini all’interno della diaspora palestinese.

 

La voce narrante è quella di una ragazza – mai nominata – che incarna tante esperienze comuni ai minori migranti. Le illustrazioni, in particolare la figura della giovane dal volto nascosto da un cappello a forma di uccello e il colore azzurro che ritorna come elemento visivo ricorrente, rafforzano l’idea di identità sospesa, di volo possibile ma anche di perdita.

 

Il filo del titolo non è solo un filo materiale, ma diventa il simbolo di un legame continuo tra ciò che si lascia e ciò che si trova. È il filo che unisce due mondi: quello delle radici e quello delle nuove possibilità. Eppure, la protagonista non si limita a viaggiare tra l’inizio e la fine. In un gesto semplice ma rivoluzionario decide di fermarsi “nel mezzo”, in quello spazio di transizione dove spesso si trovano i ragazzi e le ragazze che emigrano: né più completamente nel paese di origine, né ancora pienamente accolti nel nuovo. L’illustratrice Haya Halaw rappresenta questo spazio con la cartina geografica del Mashraq e del Maghreb (Mediooriente e Nord Africa), le terre di provenienza di molti bambini immigrati.

 

Il testo dà voce a un’esperienza comune ma spesso taciuta dei minori stranieri non accompagnati e dei giovani migranti: il senso di essere in cammino, il bisogno di mettere radici, il desiderio di “stare bene” in uno spazio proprio, anche se precario. È una narrazione che parla di movimento, ma anche di riposo; di nostalgia, ma anche di riscatto.

 

Le immagini del mare, dell’uccello, del pesce creano una metafora viva della lotta quotidiana per sopravvivere: “L’uccello ha fame e s’immerge. Prende il pesce, non il mare…”. Un messaggio profondo: ci si può nutrire rispettando le risorse ma anche metafora della possibilità di nutrirsi senza essere divorati, di scegliere cosa trattenere del proprio passato e cosa costruire nel presente.

 

Seguo il filo” è una lettura preziosa nelle scuole, utile per aprire un dialogo tra pari ma anche tra studenti e adulti su cosa significa sentirsi “nel mezzo” tra culture, affetti, lingue. È uno strumento utile per chi lavora nell’accoglienza e nell’educazione, perché riesce a raccontare la complessità dell’esperienza migratoria senza retorica, ma con delicatezza e verità.

 

Un libro breve ma capace di lasciare un segno profondo: con poche parole e immagini evocative, apre lo spazio per interrogarsi su cosa significhi davvero “casa” e su come si possa, anche nei momenti più difficili, trovare un equilibrio e un rifugio nel proprio cammino.

 

In appendice al testo troverete alcune indicazioni di proposte operative che risultano interessanti in ambito scolastico.

 

Pina Fioretti

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Commenti: 1
  • #1

    Paola Cascone (giovedì, 04 settembre 2025 20:24)

    Grande Pina!!!!!��