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ll contributo di Salman Abu Sitta all’architettura della decolonizzazione

In questi giorni, a Venezia, nell’ambito degli eventi collegati alla Biennale Architettura e all’interno della VI edizione di Time Space Existence a cura dell’European Cultural Centre, nella prestigiosa sede di Palazzo Mora, è in esposizione la più grande mostra di architettura palestinese focalizzata sulla Nakba “From Palestine: Our Past, Our Future” proposta dal Palestine Museum US e curata dal suo direttore Faisal Saleh.

Una delle opere esposte Map of Palestine 1948 è una grande mappa che riproduce il territorio della Palestina prima del 1948

Una riproduzione che attira l’attenzione dei visitatori per le sue dimensioni (sette metri per due e mezzo circa) e dove si possono leggere i nomi delle città e dei villaggi della Palestina del 1948. Una legenda facilita la lettura della mappa palestinese riportando i simboli dei luoghi distrutti e cancellati, dei villaggi in cui furono perpetrati i massacri e o quelli di quelli spopolati dalle forze paramilitari ebraiche prima e dall’esercito israeliano dopo, in un arco di tempo che va dal dicembre 1947 al gennaio 1948. Questo periodo è ricordato dai palestinesi con il nome “Nakba”, cioè la tragedia che subirono in seguito alla spartizione della Palestina e alla nascita dello stato di Israele.

Una tale ricchezza di particolari è frutto di un minuzioso lavoro di ricostruzione storica e di ricerca realizzata da Salman Abu Sitta, ricercatore palestinese nato in Palestina nel 1937 nel villaggio di Ma’in Abu Sitta. 

A 11 anni, in seguito alla Nakba, è costretto a fuggire con la sua famiglia prima a Gaza e successivamente in altri paesi. Si laurea in Ingegneria all’Università del Cairo e dopo consegue il dottorato in Ingegneria Civile all’Università di Londra. Sul suo periodo di studi in Inghilterra lui stesso riporta di aver avuto uno shock

Quando a Londra, nei primi anni ‘60 vidi mappe e carte geografiche conservate nella biblioteca della Royal Geographical Society, nella British Library, negli Archivi nazionali (noti allora come il Pubblic Record Office), al Palestine Exploration Fund (PEF) e nelle altre biblioteche e non trovai il nome ‘Palestina’ da nessuna parte. Era passato poco più di un decennio dalla Nakba e la Gran Bretagna avrebbe dovuto conoscere bene questo nome. I bibliotecari mi indirizzarono al termine ‘Israele’. Trovai mappe della Palestina del Mandato britannico col nome ‘Palestina cancellato e al suo posto la scritta Israele”.  (da “La mappa del mio ritorno. Memoria palestinese” Edizioni Q pag 331-332) 

 

Da quel momento l’autore ha iniziato una ricerca che è durata diversi decenni. Ha raccolto mappe e dati da diverse fonti in Inghilterra, Francia, Germania, Turchia, Stati Uniti e presso le Nazioni Unite. Ha elaborato diversi atlanti. Il più importante forse è Atlas of Palestine 1917-1966, che descrive la Nakba, la distruzione sionista della Palestina. L’atlante raccoglie ben 55.000 toponimi di cui 1200 tra città e villaggi palestinesi.

Il lavoro accademico e di documentazione di Abu Sitta copre un arco di tempo di circa 2000 anni avendo lavorato sull’archivio commerciale ottomano del 1596 e sul catalogo di geografia e topografia Onomasticon  (313 a.C.) del vescovo palestinese Eusebio di Cesarea.

 

La mappa in esposizione testimonia la notevole ricerca di Abu Sitta negli archivi coloniali mentre le analisi condotte specialmente sulle narrazioni e sulle mappe del “Palestine Exploration Fund“ britannico, evidenziano la disinformazione e la strategia orientalista (nel significato di quell’orientalismo che Edward Said ha messo sotto accusa) di questa istituzione voluta nel 1865 dalla regina Vittoria e che ha avuto un ruolo determinante nella politica coloniale in Medio Oriente con tutte le conseguenze ben note. L’autore ha fondato la Palestine Land Society, un’istituzione indipendente che si occupa di raccogliere e documentare informazioni sulla terra e il popolo della Palestina. Oltre al già citato Atlas of Palestine 1917-1966, suoi sono Atlas of Palestine 1948 e Atlas of Palestine 1871-1877, Abu Sitta ha pubblicato più di 400 articoli e approfondimenti come il volume The Return Journey, una guida sullo spopolamento e l’espropriazione di terre e villaggi palestinesi. 

 

In Italia, la casa editrice Edizioni Q, ha pubblicato nel 2020 “La Mappa del mio ritorno. Memoria palestinese” il romanzo autobiografico di Abu Sitta che nel 2016 era uscito in inglese con il titolo “Mapping My Return. A Palestinian Memoir”.

Nei ventidue capitoli di questo libro l’autore racconta la sua vita in esilio a partire dall’arrivo a Gaza, passando per il periodo trascorso nell’Egitto di Nasser, dei suoi studi a Londra e delle sue esperienze in Canada e in Kuwait. Soprattutto ci fa scoprire luoghi e protagonisti della Palestina sotto occupazione e in esilio, ma soprattutto testimonia, attraverso documenti epistolari privati e dati di archivi internazionali, i motivi di quella che lui definisce la sua missione: “Rimettere la Palestina al suo posto, negli archivi, disegnando accuratamente le carte geografiche”.

La mappatura della Palestina per Abu Sitta ha anche un altro scopo, quello di mostrare la fattibilità dell’applicazione del diritto al ritorno dei profughi palestinesi.

 

Non è la prima volta che il curatore del Palestine Museum US, Faisal Saleh ha voluto che il lavoro di ricerca di Salman Abu Sitta prendesse parte alle mostre che si sono tenute a Venezia. Nel 2022 durante la mostra “From Palestine with Art”  a catturare l’attenzione del visitatore è stata la “Mappa del 1877” a testimonianza di una Palestina “dal fiume al mare”. 

 

Oggi, il visitatore che si reca a Palazzo Mora, rimane colpito e incuriosito davanti a questa mappa.

Quando si tratta però di un visitatore palestinese, prevale la commozione, la nostalgia e a volte anche la rabbia. Sì, perché a moltissimi giovani palestinesi in diaspora è proibito anche solo visitare la Palestina. Alcuni di questi giovani palestinesi cercano i nomi delle città o dei villaggi da cui proviene la propria famiglia, puntano il dito sulla mappa, scattano foto, si collegano in videochiamata con i parenti per mostrare la grande carta della Palestina del 1948. 

Molti giovani palestinesi provenienti da paesi europei, fieri di osservare una mappa così grande della Palestina prima della Nakba, hanno espresso il desiderio che anche nei paesi dove risiedono possa ospitare una mostra simile. I palestinesi più anziani in visita alla mostra, si soffermano sulla mappa e si lasciano andare ai ricordi con un misto di nostalgia e speranza. Tutte le opere di questa mostra orientano a guardare al passato per esigere la speranza in un futuro di giustizia.

 

 

Il libro dedicato alla mostra “From Palestine: Our Past, Our Future” curato da Faisal Saleh e da Ibrahim Alazza è reperibile nella sezione shop della libreria di Arabook.

 

articolo di Pina Fioretti 

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