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Cinema senza diritti

Arrivata alla settima edizione “Cinema senza diritti” è una rassegna di cinema palestinese che si svolge a Venezia.

Abbiamo rivolto alcune domande alle organizzatrici, Maria Grazia Gagliardi e Giuseppina Fioretti che in questi anni, volontariamente, hanno selezionato, sottotitolato e proposto film e documentari che il circuito commerciale non promuove.

 

Arabook: Com’è nata la rassegna?

 

MGG: La rassegna è nata nel 2014 quando io e Pina Fioretti ci siamo incontrate alla presentazione di” Five Broken Cameras”, il film di Emad Burnat del 2011 e abbiamo deciso che film come quello dovevano circolare non tra gruppi ristretti di attivisti ma nelle sale pubbliche e quindi ci siamo mosse in questo senso.  Abbiamo avuto la fortuna qui a Venezia di incontrare Roberto Ellero, il direttore del Circuito Cinema di Venezia, che ci ha accolto a braccia aperte, ci ha messo a disposizione la sala cinematografica Giorgione e abbiamo organizzato la prima rassegna nel novembre del 2014. Le successive rassegne si sono svolte presso La Casa del Cinema Videoteca Pasinetti a San Stae e presso il Centro Culturale Candiani di Mestre. Quando a Venezia è cambiata la giunta e sono cambiate le condizioni politiche, siamo state costrette a rinunciare alle sale cinematografiche pubbliche e siamo tornate a sedi di associazioni che ci sostengono. Al momento stiamo proiettando presso l’Associazione Micromega Arte e Cultura che con molta disponibilità ci lascia la sala per accogliere il pubblico. Dal 2014 ad oggi sono passati quasi 10 anni, siamo alla settima edizione perché c’è stata l’interruzione del Covid ma abbiamo raccolto attorno a noi abbastanza pubblico sia di persone che ci seguono dall’inizio sia di studenti di arabo dell’Università di Ca’ Foscari che a volte siamo riusciti a coinvolgere insieme ai loro docenti.

 

Arabook: Perché il nome “Cinema senza Diritti”?

 

MGG: Perché una delle cose che ci colpì a suo tempo, nell’organizzazione di queste rassegne, fu proprio il fatto che questi film non hanno una diffusione nel circuito commerciale, almeno che non si tratti di grandi nomi, non hanno la possibilità di uscire nelle sale pubbliche. Sono film senza diritti nel senso che il circuito commerciale non li promuove e perché la Palestina vive da più di 70 anni senza il riconoscimento dei propri diritti. Quindi su questo doppio significato dell’assenza di diritti, abbiamo scelto questo titolo.

 

Arabook: Come scegliete i film?

 

MGG: Fondamentale è l’apporto di Al Ard Film Festival, un festival di cinema arabo che ogni anno si svolge a Cagliari dove noi possiamo visionare i film appena usciti e spesso venire in contatto con i registi e produttori. Qualche volta è capitato che noi stesse abbiamo tradotto e costruito i sottotitoli per alcuni documentari. I film sono per la maggior parte in arabo e alcuni in inglese. Nella scelta dei film cerchiamo di bilanciare tra documentari e fiction anche se la produzione di cui disponiamo in genere è più documentaristica. Per attirare sempre più spettatori cerchiamo di inserire fiction di registi storici del cinema palestinese come Michel Khlifeh, Elias Sulaiman, Hany Abu Assad ma diamo spazio anche alle sperimentazioni dei giovani registi. Abbiamo costruito alcune rassegne privilegiando la regia delle donne che nella cinematografia palestinese occupano ruoli fondamentali non solo come registe ma anche come produttrici e attrici. Tra tanti nomi posso citare Sahera Dirbas, le sorelle Annemarie ed Emily Jacir, Mai Masri. In ogni edizione cerchiamo di focalizzarci su un tema. Un anno, occupandoci di Gaza, abbiamo deciso di proiettare “The Idol” che è stato molto apprezzato. Abbiamo proiettato film e documentari su tematiche quali la condizioni delle lavoratrici palestinesi, l’uso di armi non convenzionali da parte di Israele, i giovani palestinesi in diaspora, la condizione dei prigionieri.

 

Arabook: La rassegna in atto… il settimo anno, qualche bilancio in positivo o crisi del settimo anno?

 

GF: Bilancio sicuramente positivo, nonostante il periodo della pandemia e la mancanza di finanziamenti. In sette anni con Maria Grazia Gagliardi e Shaden Ghazal, abbiamo proiettato circa 57 tra film e documentari di registe e registi palestinesi. L’arte cinematografica in Palestina e fuori dalla Palestina è in continua evoluzione. Il cinema palestinese è un mondo dinamico nei contenuti, nelle tecniche, nell’interpretazione e nella regia. Fondamentale è l’apporto delle donne anche nella cinematografia di documentazione. Come ricorda l’attrice e regista Hiam Abbas: “Nella vita dei palestinesi non c’è nulla di apolitico e quindi anche il cinema di conseguenza è un cinema politico in cui le donne hanno un ruolo determinante sia come attrici che come registe”. Nonostante la questione politica sia centrale laddove un film o un documentario servano a fare luce su ciò che storicamente è successo e sta accadendo in Palestina, ci sono registi che hanno diretto film fiction che raccontano di storie d’amore, di storie vissute, film a cui la narrazione della realtà fatta di occupazione ha aggiunto un ulteriore valore. Così il cinema palestinese diventa non solo cinema di denuncia ma soprattutto testimonia la volontà di un popolo che aspira al raggiungimento dei suoi diritti politici e umani e di una vita normale. Costruiamo le rassegne con il contributo di Fawzi Ismail e Monica Maurer, le anime di Al Ard Fil Festival di Cagliari che in circa 19 anni hanno permesso di far conoscere in Italia il cinema arabo e in particolare quello palestinese. Spesso abbiamo attinto dal materiale di AAMOD, Archivio Audiovisivo Movimento Operaio Democratico grazie alla già citata Monica Maurer e a Milena Fiore. Non abbiamo finanziamenti e spesso ci siamo autotassate pur di proiettare alcuni film. Purtroppo a partire dalla quinta edizione ci sono stati negati gli spazi delle sale cinematografiche pubbliche a Venezia e questo si spiega con il tentativo di censurare il dibattito sulla Palestina. Nonostante questo siamo determinate a continuare a far conoscere il cinema palestinese.

 

Arabook: In questi sette anni qual è stato il vostro pubblico ?

 

GF: Abbiamo visto crescere il nostro pubblico. All’inizio alle proiezioni erano presenti soprattutto palestinesi ed attivisti locali. Successivamente in sala affluivano gli studenti, non solo gli iscritti ai corsi universitari di arabo di Ca’ Foscari, ma anche altri studenti. Nel 2019 alcuni studenti di Ca’ Foscari diedero vita al collettivo universitario NUR - Universitari contro l’apartheid israeliano e grazie al loro contributo organizzammo la sesta edizione presso lo spazio universitario CFZ alle Zattere di Venezia. Purtroppo la stampa locale non ha mai dato spazio e importanza a questa rassegna, nonostante Venezia ospiti una mostra internazionale in cui il cinema impegnato abbia un ruolo importante. Alcuni degli studenti che venivano alle proiezioni hanno poi intrapreso studi specifici sulla Palestina e altri hanno iniziato percorsi di attivismo e solidarietà. Tra il nostro pubblico anche associazioni del territorio con le quali a volte abbiamo collaborato per alcune proiezioni e questo testimonia il potere di aggregazione del cinema. All’inaugurazione della rassegna quest’anno, nello spazio di Micromega Arte e Cultura a Campo San Maurizio, abbiamo avuto il piacere di ospitare Faisal Saleh, direttore del Palestine Museum Us che ci ha anticipato il suo nuovo progetto, una mostra di architettura palestinese a Venezia: “From Palestine, Our Past, Our Future”

 

Arabook: Per questo anno la novità di inserire un libro, perché questa scelta?

 

GF: Negli anni durante la rassegna abbiamo scelto di proiettare solo film di registe/i palestinesi con l'intento di mettere al centro i palestinesi anche nel cinema. Soltanto in pochi casi abbiamo fatto un’eccezione: quando abbiamo scelto di proiettare film di registi non palestinesi che però avevano diretto la trasposizione cinematografica di opere di scrittori palestinesi. Mi riferisco a due romanzi del grande scrittore Ghassan Kanafani. Nella seconda edizione del 2016 abbiamo proposto il film del regista iraqeno Kasem Hawal ispirato al romanzo di Kanafani “Ritorno a Haifa” girato nel 1981. L’edizione di quell’anno si concluse con un altro film ispirato al romanzo “Uomini sotto il sole“ sempre di Kanafani: “Gli Ingannati”  diretto nel 1972 dal grande regista egiziano Tawfiq Saleh.  I libri, quindi, in un certo senso, nella nostra rassegna erano già presenti. Per l’attuale edizione abbiamo proposto, in collaborazione con Assopace Palestina Venezia e Arabook, un libro molto importante da divulgare. L’autore è il palestinese Ishaq Musa Al Husayni che nel 1943 pubblicò “Mudhakirat dagagah” (Memorie di una gallina) tradotto in italiano dalla Prof. Patrizia Zanelli dell’Università di Ca’ Foscari. Quest’anno la nostra rassegna si sviluppa tra aprile e maggio, cade nel periodo in cui nel 1948 si consumarono il massacro del villaggio palestinese di Deir Yasin e la distruzione di altri villaggi per mano delle milizie paramilitari ebraiche, e la proclamazione dello Stato di Israele che causò la Nakba palestinese. Abbiamo deciso di proporre la presentazione di questo libro perché esso testimonia la vivacità dell’ambiente letterario palestinese prima del 1948 e la consapevolezza politica degli intellettuali palestinesi dell’epoca rispetto a ciò che stava accadendo e si stava organizzando ai loro danni con il contributo delle potenze coloniali del tempo.

 

Cinema e letteratura restano armi strategiche per ogni popolo che lotta per i propri diritti e, in questo caso, per destrutturare la narrazione a senso unico sulla questione palestinese che tende a cancellare la Palestina.

 

Si ringrazia Pina Fioretti e Maria Grazia Gagliardi per la disponibilità

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Commenti: 1
  • #1

    Antonio Pettena (giovedì, 04 maggio 2023 13:35)

    Ringrazio gli organizzatori di questa rassegna di continuare la loro attività malgrado l'evidente ostracismo di tutte (purtroppo) le forze politiche e il black out mediatico generalizzato cui vengono sottoposte tutte le fonti che trattano dell'apartheid cui è sottoposto il popolo palestinese e il criminale comportamento dello stato di Israele nei suoi confronti con la scusa incredibile e falsa dell'antisemitismo