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Sfide e spunti di riflessione per la traduzione del fumetto arabo

 

 

Come vi abbiamo raccontato nel precedente articolo su “Fatma au Parapluie, la lingua è un elemento essenziale di questa pubblicazione e lo è ancor di più nella versione francese edita dalla casa editrice Alifbata. Non solo il fumetto porta con sè un bagaglio culturale legato all’oralità algerina, ma contiene una commistione di più lingue: nella versione originale Fatma au Parapluie è infatti scritto in dialetto algerino pur mantenendo parole e modi di dire francesi. Una sfida interessante da affrontare a livello di traduzione che ha richiesto un lungo processo. Ne abbiamo parlato il traduttore Nia Lofti che ci ha condotto alla scoperta delle scelte editoriali fatte per questa pubblicazione.

 

Nia Lotfi è un traduttore ed autore franco-algerino che attualmente vive e lavora a Marsiglia. Da circa dodici anni si occupa di letteratura araba contemporanea. Tra i suoi lavori di traduzione dall’arabo al francese ricordiamo Hassan voyage di Hassan Hourani, Supplément au passé di G. Zaqtan e le poesie dell’autore libico Al-Fallah.

Come avete deciso di lavorare per esprimere al meglio il dialetto algerino?

 

Fatma N’parali (titolo originale del fumetto), è un’opera davvero singolare, unica direi – intendo a livello testuale. Come già detto, questo fumetto è scritto in algerino. Quello che voi chiamate dialetto è in realtà una lingua a parte, molto differente dall’arabo scritto ed è una lingua complessa, viva, usata nel quotidiano e nelle canzoni, nei film...insomma una lingua quasi esclusivamente orale. Prima di imbattermi in Fatma au Parapluie, avevo  incontrato pochi tentativi di scrivere in questa lingua. Tentare di scrivere in una lingua riservata all’oralità avrebbe potuto davvero ridursi ad un fallimento, eppure con Fatma au Parapluie, tutto questo funziona. Ecco cosa mi ha fatto decidere ad incominciare questo lavoro di traduzione.

Come ho dunque lavorato con questa lingua? Si è trattato di un lavoro a due con l’editrice Simona Gabrieli. Le prime bozze di traduzione che le ho proposto sono state essenziali di fatti per darle un’idea. Ho cominciato con il cercare di “decostruire” il francese per  trovare un nuovo modo di parlare, nel tentativo di tradurre anche ciò che facevano gli autori stessi del fumetto: tutto ciò con il rischio di usare parole irriconoscibili o di non finire le frasi. L’editrice ha reagito con forza a questo primo tentativo: non voleva un tal tipo di scrittura. Ad ogni modo, la relazione tra la lingua orale e scritta non è la stessa nelle due lingue. E oltretutto, anche incaponendomi, non potevo ritrovare il parlato di Algeri nella lingua francese. Quel che restava da fare era allora utilizzare una lingua ampia che avesse della vivacità, del colore e che potesse rappresentare i personaggi nella loro vita di quartiere. Effettivamente un grande difetto della mia prima bozza era la volgarità – era forte la tentazione di rendere la dicotomia lingua parlata/lingua scritta, tipica dell’arabo, giocando con i registri e utilizzando una parlata volgare. Nell’opera infatti, anche se i personaggi parlano tutti la lingua di Algeri, alcuni parlano volgarmente ed hanno tutti dei registri differenti – per esempio la strega usa delle formule magiche eleganti ed ermetiche.

A partire da questa prima versione in un francese sperimentale, a volte decostruito e piuttosto volgare, abbiamo allora intrapreso una traduzione “a strati”. Per esempio, in un primo tempo avevo sostituito le “e” mute con degli apostrofi (quel che ne risultava era per esempio “T’ho detto ch’è così!”). L’editrice mi ha poi chiesto di rinunciare a questa forma, cosa che ho accettato seppur battendomi per mantenerla in alcune parti, là dove mi sembrava fosse necessario. Un altro esempio: ho acconsentito a rinunciare al registro sistematicamente volgare che avevo usato nella prima bozza, ma mi sono assicurato di conservarlo per alcuni personaggi, in particolare per i bambini. Nella negoziazione con l’editrice, abbiamo cercato di entrare nella sonorità del testo, in maniera tale da forgiare una lingua che tenesse conto sia delle specificità dell’oralità, sia dei personaggi della storia.

 

Quali sono le sfide che si incontrano nel tradurre un fumetto e in particolare, Fatma au parapluie?

 

Attraverso il processo descritto, siamo arrivati ad una versione che soddisfaceva entrambi, ma a quel punto non avevamo ancora finito. Alifbata non era del tutto convinta che avessimo centrato l’obiettivo. Il francese è meno coinciso dell’arabo e oltretutto, a volte, i traduttori hanno la tendenza ad allungare le frasi – forse per questo che sono pagati in base a criteri quantitativi?

Fatto sta che Simona mi ha detto che la forma della traduzione non era ancora quel che cercava. Non funzionava. Ci siamo allora confrontati con un vincolo tipico del fumetto: bisognava accorciare il testo. Sarei tentato di utilizzare la metafora della levigatura per descrivere questo metodo di lavoro nel rifinire il testo a più riprese, ma non si è trattato di questo. Di fatti la levigatura farebbe pensare ad una uniformità superficiale. Al contrario, sono stato attento ad evitare di uniformare il testo: la sfida era ridurre il volume senza però ridurre le asprezze ed i contrasti, forzandoli addirittura. Il riferimento in tutto ciò era, ancora una volta, la lingua orale che è coincisa, in una economia di mezzi che dipende dalla verve più che dalla povertà.

 

Abbiamo notato che nella traduzione francese, alcune parole sono state sottolineate in grassetto: parole che sono in francese anche nella versione araba del fumetto? Perché questa scelta?

 

Anche qui è stato il risultato di una scelta con il team editoriale di Alifbata. L’algerino, o nel caso di questo libro la lingua parlata ad Algeri, è un idioma composito dove si intersecano arabo, la lingua cabila e il francese. Si tratta di un linguaggio che nasce da più lingue. Alcune parole francesi potevano essere arabizzate, questo o quel personaggio non poteva che parlare francese in una certa situazione. Quando si sfoglia la versione originale del fumetto, questa molteplicità di lingua salta agli occhi: caratteri latini e arabi si affiancano l’un l’altro. Mi sarebbe piaciuto conservare questa eterogeneità linguistica nella versione francese. Più soluzioni di traduzione erano possibili. Mi sarebbe piaciuto che fossero stati conservati in caratteri arabi i rumori e le onomatopee che sono parte integrante del disegno (e non dei dialoghi), ma questo avrebbe reso la parte grafica del testo illeggibile per il fatto che tutte le immagini del libro sono state rigirare per permetterne la lettura da sinistra a destra. Nella versione francese non troviamo che del francese e l'eterogeneità degli alfabeti è stata abbandonata. Per questo motivo abbiamo deciso di segnalare i passaggi dove i personaggi parlano in francese nel testo originale utilizzando il grassetto. Si tratta di una scelta allusiva: questo carattere grassetto indica che ci sono altre lingue. Da un punto di vista narrativo questa scelta permette di conservare un tratto importante del personaggio che si chiama Fatma au Parapluie: una delle sue eccentricità sta proprio nel fatto che si metta a parlare di tanto in tanto in francese – cosa che terrorizza i bambini. Ci si domanda come faccia. Il secondo volume ci potrà forse fornire una risposta!

 

Intervista raccolta e tradotta da Marialaura Romani 

Ringraziamo il traduttore Nia Lotfi per aver risposto alle nostre domande e Simona Gabrieli direttrice di Alifbata per aver reso tutto ciò possibile. 

 

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